Rumore di fondo

lingue

1998

Roberta Valtorta

"Marina Ballo Charmet, Rumore di fondo", Art&, Udine

italiano

Rumore di fondo

Visione ravvicinata e intima del corpo umano vestito. Angoli dalla casa che appaiono come frammenti distratti nei colori della quotidianità. Pattern ripetitivi di incombenti anonimi condomini di città. Qualunque vita viviamo, le persone che stanno cm noi e che ci sono familiari, gli infimi consumati momenti della casa, il generico ambiente esterno che vede il nostro quotidiano via vai, sono fatti ormai della nostra stessa sostanza: non hanno più esistenza come figure autonome ma prevalentemente come rumori di fondo, come tessuto visivo impalpabile che si confonde, nella continuità dell’esperienza, con il tessuto esistenziale di cui siamo fatti. Marina Ballo Charmet lavora da anni proprio sul fragile limite fra il percepibile, il non percepito, il già percepito, il non più percepibile (non è un gioco di parole – anzi lo è,nel senso più vero però, nel senso più alto che il gioco preveda, e insieme al gioco il linguaggio), lavora sugli spessori confusi e compenetrati mie quali l’esperienza psicologica e sensoriale si stratifica. Nel flusso delle immagini che nascono irrimediabilmente l’una dall’altra, ogni tanto, chissà perché, un sobbalzo: una si libera dalle altre, affiora in diagonale e si pone in evidenza. Il mezzo fotografico risponde alla funzione di rendere visibile questa emergenza. Assomiglia a una percezione che si fa scrittura, dall’interno della quale un automatismo indicibile fa emergere le parole. La fotografia di Marina Ballo Charmet ha l’andamento di una particolare procedura che acquista significato profondo nel suo farsi oltre che nel risultato che di volta in volta raggiunge. Nel tempo, la sua ricerca diventa sempre più simile a una misurazione, a una esplorazione degli spazi esistenziali di una quotidianità raccolta nei suoi dati più elementari, secondo un percorso che va alle radici dell’esperienza. È una qualità dell’esperienza tipica di chi nasce in città. Che cosa riguardano le prime percezioni di chi cresce in città se non la vicinanza di grandi corpi dentro casa o l’esistenza di delimitati angoli, punti dell’ambiente, delle stanze, e poi, in un esterno privo di natura, di un ripetersi di grandi case? È una familiarità con le cose e le persone, e un’affettività di tipo urbano che non a caso trova proprio nella fotografia l’adatto mezzo per esprimersi. I vestiti, i tessuti che coprono i corpi, sono come i materiali che rivestono ogni parte dello spazio che definiamo città, rendendola del tutto artificiale. Sotto tutto ciò che è coperto, rivestito, costruito, resta una pelle, un respiro, un ricordo, una lontana storia che cerca di emergere qua e là, forse, attraverso le immagini.

R. Valtorta, “Rumore di fondo”, in Marina Ballo Charmet, Rumore di fondo, Art&, Udine, 1998

/ english

Background Noise

Close-up, intimate views of the clothed human body. Nooks and crannies of the house that look like careless fragments in their everyday colours. Ripetitive patterns of anonymous, looming blocks of flats in the city. Whatever our lifestyle, the people who live with us and are familiar to us, the well worn, worthless household moments, and the generic extrernal environment that witnesses our daily hustle and bustle are all facts that are by now part of our very being: they no longer exist as autonomous figures but prevalently as background noise, as an impalpable visual fabric that mingles, in the continuity of experience, with the existential fabric of which we are made. Marina Ballo Charmet has been working for years precisely on that faint limit between what may be perceived, what has not been perceived, what has already been perceived, and what may no longer be preceived (which is not a play on words, or better, it is, but only in the truest sense, in the highest sense that boh playing and language may call for). She has been working on the confused, pervading thicknesses in which psychological and sensoriy experience is stratified. In this flow of images, in which each is irremediably born of the image that preceded it, every now and then, who knows why, there is a folt: an image frees itself from the others, surfaces diagonally and comes to the forefront. Photography explicates the function of rendering this emergency visible. It is something like a perception that becomes writing, from inside which an indescribable automatism cause the words to emerge. Marina Ballo Charmet’s photographs unfold by means of a particular procedure that takes on deep significance in the making, as well as in the results it reaches in each individual situation. In the course of time, her research become more and more like a measurement, an exploration of the existential spaces of everyday occurrence collected in its most elementary aspects, tracing an itinerary that goes to the roots of experience. This quality appertains to the realm of experience typical of those who are city-bred. What do the first percepiton of those growing up in a city regard if not the proximity of large bodies inside one’s dwelling or the existence of circumscribed corner, specific areas of the place, of the rooms, and then, in a natureless exterior, the repentition of big buildings? It is a familiarity with things and people, it is an urban kind of affectivity which, not unsurprisingly finds in photography its most appropriate means of expression. The garments, the fabbrics that clad the bodies, are like the materials that cover every part of the interior space of the house, the private place of one’s existence; they are like the buildings and the streets that cover every part of the space we define as a city, rendering it entirely artificial. Underneath everything that has been clad, covered, constructed, there remains a skin, a breath, a memory, a distant story that is trying to emerge here and there, perhaps, through these pictures.

R. Valtorta, “Rumore di fondo/Background Noise”, in Marina Ballo Charmet, Rumore di fondo, Art&, Udine, 1998.